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La Tanatoprassi nel Sistema Funerario Italiano

Diversi termini sono utilizzati dai direttori delle pompe funebri per designare questo trattamento, come conservazione sanitaria, trattamento igienico, preparazione del cadavere ecc.. Nel far conoscere la Tanatoprassi al grande pubblico, il direttore delle pompe funebri, che tenta di venderla, deve egli stesso essere convinto che essa è efficace e che fa parte di un moderno procedimento funerario. Legalmente, bisogna ottenere il permesso prima di procedere al trattamento, dando come ragioni di impiego le seguenti:

  • in primo luogo ciò assicura che non sussistano rischi o paura d’infezione nel contatto con il cadavere;
  • in secondo luogo ciò produce, senza mutilazioni, un colore e un’aria naturale sul corpo tali da far pensare ad un essere vivente;
  • in terzo luogo ciò arresta le modificazioni dovute alla putrefazione che si presentano come emissioni e scoli da tutti gli orifizi del corpo.

La Tanatoprassi diventerà una pratica usuale in un circondario se la persona responsabile della sua introduzione darà a ciascun caso la cura e l’attenzione necessarie, se sarà all’altezza professionalmente e userà ogni misura igienica raccomandata per ogni articolo, persona o locale utilizzati sia nel trasporto che nella cura del cadavere: ciò è più importante delle costruzioni e delle apparecchiature ultra moderne. E’ importante avere dalla propria parte la classe medica e perciò è bene effettuare incontri con medici ed ufficiali sanitari locali e incoraggiarli a dare sostegno al trattamento. Come già detto in precedenza, il procedimento attuale di tanatoprassi è un metodo di conservazione temporanea e di presentazione del defunto, relativamente semplice in termini di principio, ma che richiede da parte del tanatoprattore delle solide conoscenze sia teoriche che pratiche, senza contare alcune qualità morali indispensabili per esercitare una professione così delicata.Si tratta in realtà di una iniezione intra-arteriosa di un liquido antisettico che disinfetta e conserva, ad una pressione abbastanza forte da farlo mescolare al sangue, la maggiore fonte di decomposizione. Viene praticato un drenaggio venoso di lieve entità, seguito dal drenaggio delle cavità addominali e toraciche, soprattutto in presenza di determinate malattie.

Questi trattamenti vengono completati da una accurata pulizia e sistemazione del cadavere e dalle cure al viso che renderanno così alla famiglia un defunto “tranquillo e tranquillizzante”, una immagine serena che rimarrà per molto tempo nei loro ricordi. È forse necessario ricordare le orribili smorfie della morte, il rictus dell’agonia, la cianosi dei tessuti che mostra i corpi lividi e accartocciati.Tutti conosciamo la perfetta descrizione di Ippocrate del volto cadaverico, tanto osservato e sempre attuale.Non c’è bisogno di ricordare gli stadi classici iniziali della tanatomorfosi che cominciano con l’immobilità, la rigidità e l’adattamento alla temperatura ambiente; la lividezza che precede le macchie verdi, il rigonfiamento, l’odore e l’evacuazione delle cavità naturali. La descrizione del processo di decomposizione si ferma qui, ma tutti gli specialisti sanno benissimo fin dove può arrivare la putrefazione! Tutti questi esempi ci dimostrano qual è il contributo della tanatoprassi.

 

Il Rito Funebre Cattolico

Criteri per la celebrazione della messa esequiale

«La stazione nella chiesa comprende normalmente la celebrazione della messa esequiale» Quest’indicazione del vigente Rituale, che sancisce il pieno recupero della messa nella liturgia funebre, va attuata con un prudente ed equilibrato discernimento pastorale. Ci sono situazioni pastorali in cui è opportuno o addirittura doveroso tralasciare la celebrazione della santa messa e ordinare il rito funebre in chiesa in forma di Liturgia della Parola. Tra queste ricordiamo:

Sul versante dei congiunti

  • Quando il numero dei partecipanti al rito funebre è ridotto a poche unità (rimanendo il dovere di celebrare quanto prima una messa di suffragio);
  • Quando la partecipazione al rito è del tutto esteriore e nessuno dei familiari intende accostarsi alla comunione.

Sul versante delle esigenze liturgiche

  • Quando il rito funebre è celebrato in giorni che non prevedono la celebrazione eucaristica (i venerdì di Quaresima, il Venerdì Santo e il Sabato Santo) e il Giovedì Santo.
  • Quando il sacerdote non ha la facoltà di celebrare un’altra messa.

Criteri per la celebrazione delle esequie in caso di cremazione

Fin dalle origini, e in continuità con la pratica ritrntle del popolo ebraico, la Chiesa ha preferito la sepoltura nella terra (inumazione) alla cremazione. Infatti, nella simbolica cristiana, l’atto di affidare alla terra il corpo del defunto

  • esprime meglio l’onore dovuto al corpo umano, creato da Dio e destinato alla resurrezione;
  • dichiara la volontà di imitare l’esempio di Gesù, deposto nel sepolcro;
  • e, soprattutto, ribadisce con maggiore immediatezza la fede pasquale nella resurrezione dai morti: come Gesù, seme deposto nella terra, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, così il credente defunto è tumulato per partecipare alla gloria della resurrezione.

Questa chiara preferenza per l’inumazione ha comandato fino ad oggi, sia in oriente che in occidente, la strutturazione della liturgia esequiale cristiana e cattolica.

Per duemila anni la Chiesa ha ordinato i riti funebri, dalla veglia in casa del defunto alla benedizione della tomba al cimitero, come un unico, grande ed intenso accompagnamento alla sepoltura nella terra, arrivando fino a privare della sepoltura ecclesiastica coloro che richiedevano la cremazione (cf Codex Iuris Canonici 1917, can. 1240 §1, 5°).

Ultimamente la profonda evoluzione del costume sociale in atto in occidente è arrivata a toccare anche la sfera della morte e il modo di trattare i morti.

Per un insieme di ragioni, sia ideali che pratiche (minori costi, minori spazi occupati, maggiori garanzie igieniche, ecc… ), è in costante crescita il numero di coloro che scelgono la cremazione per sé e per i loro cari. E tra questi non pochi sono i battezzati che richiedono alla Chiesa la liturgia esequiale.

Di fronte a questo nuovo dato culturale della società occidentale la Chiesa ha formulato la sua posizione nel can 1176, § 3 del Codice di Diritto Canonico del 1983. Da una lato, essa «raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti»; dall’altro, essa «non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».

Traducendo operativamente le indicazioni valide per tutta la Chiesa, nel 1995 il Sinodo 47°- della nostra Chiesa ambrosiana aveva così legiferato: «La sepoltura per inumazione è da preferirsi; in caso di cremazione – ammessa secondo le condizioni previste dal can. 1176, § 3 – il rito del funerale venga celebrato prima della cremazione stessa» (Cost. 83, § 8) .

A distanza di alcuni anni, e sotto la spinta di una situazione in sempre più rapido cambiamento, pare opportuno offrire alle comunità e ai pastori in cura d’anime un breve direttorio liturgico pastorale su esequie e cremazione.

Nella pastorale ordinaria di una comunità non devono mancare una predicazione e una catechesi regolari atte ad illustrare la visione cristiana della morte, l’annuncio pasquale della vittoria (il Cristo stilla morte e, in ragione di questo, la scelta preferenziale della Chiesa per la sepoltura dei defunti nella terra.

Di conseguenza, ogni richiesta di celebrazione funebre con cremazione venga attentamente vagliata circa le intenzioni che la giustificano mediante un previo colloquio con i familiari della persona defunta. E, poiché il rischio è che tutto venga deciso previamente tramile le agenzie funebri, è necessario coltivare un clima di intesa e di collaborazione tra queste e la parrocchia.

Qualora dunque la richiesta della cremazione non risulti incompatibile con i valori di fede presupposti dal rito funebre cristiano cattolico, quest’ultimo sia ordinariamente celebrato come segue:

La veglia esequiale in casa del defunto (o in altro luogo adatto) e la liturgia esequiale in Chiesa (o nella cappella cimiteriale o, eccezionalmente, in casa del defunto), si svolgano prima della cremazione e anche in presenza della salma riposta nella bara.

Nessun intervento liturgico si preveda al momento della cremazione. Poiché i crematori sono in genere dotati di una sala attigua (chiamata tempio crematorio) «per consentire il rispetto dei riti di commemorazione del defunto e un dignitoso commiato» si possono invitare i parenti a fare una preghiera di suffragio con appositi sussidi.

Di comune accordo con i familiari, si preveda invece l’accompagnamento liturgico della deposizione dell’urna cineraria nelle «aree a ciò appositamente destinate secondo la vigente legislazione civile.

Per questo momento specifico non tutte le orazioni previste al cimitero per la sepoltura sono ugualmente adatte. Il presbitero o il diacono che presiede sceglierà i testi più idonei alla circostanza.

In mancanza di un presbitero o di un diacono quest’ultimo accompagnamento potrà essere guidato da un laico, uomo o donna, ben preparato (per es. un lettore o un ministro straordinario della comunione).

Per molteplici ragioni di natura pratica (morte all’estero e rimpatrio in urna cineraria dopo cremazione; programmazione municipale dei flussi crematori, ecc. …), a volte, i riti esequiali non possono avere luogo prima della cremazione, ma solo a cremazione avvenuta. In questo caso, in deroga alla Cost. 83, § 8 del Sinodo 47°, e previo consenso dell’ordinario di luogo, è data facoltà di celebrare il rito esequiale dopo la cremazione e con la presenza dell’urna cineraria, seguendo la forma a due stazioni (in chiesa – al cimitero) o a una sola stazione (al cimitero).

La liturgia esequiale in chiesa (o nella cappella cimiteriale) può essere con o senza la messa funebre e segue pari pari quanto previsto nel Rituale ambrosiano con alcune specifiche attenzioni.

II sacerdote riceve le ceneri del defunto alla porta della chiesa e, dopo aver rivolto ai familiari e ai presenti un cristiano saluto, avvia la processione all’altare. Precede il sacerdote con i ministranti, seguito da chi porta l’urna cineraria, dai familiari e dagli altri fedeli.

L’urna cineraria viene predisposta su un tavolo, ricoperto da un drappo viola (bianco, nel caso di un bambino) e collocato nello spazio antistante l’altare, fuori del presbiterio.

Accanto all’urna si pone il cero pasquale e, se non è ben visibile la croce dell’altare, la croce astile; all’intorno, secondo le consuetudini, altri ceri.

Dopo la monizione iniziale (da adattarsi alle circostanze) si esegue il canto di saluto per il defunto, durante il quale il sacerdote asperge ed incensa l’urna delle ceneri.

Dei cinque formulari di messe esequiali previsti dal Rituale i più adatti alle esequie in presenza delle ceneri del defunto sono il II, il IV e il V. Qualche riserva all’uso del I e del III è dovuta al fatto che i prefazi sono molto espliciti sul tema della sepoltura del corpo. In tutti i casi la monizione finale va adattata alla circostanza .